Leopardi, Goldoni, Pirandello, Moravia, Calvino ed Eco sono alcuni degli scrittori italiani più amati in Argentina. Ma nella classifica dei nostri letterati più studiati a scuola primeggia ancora Dante Alighieri.
In Argentina quello che si è appena concluso è stato l’anno del revival di Italo Calvino. In occasione del centenario della nascita, le iniziative per ricordare la sua opera si sono moltiplicate in tutto il Paese, in particolare durante la Settimana della lingua italiana, nell’ottobre scorso. L’interesse per la narrativa italiana contemporanea si manifesta anche in occasione delle presentazioni di autori italiani alla Fiera internazionale del libro di Buenos Aires. Nell’ultima edizione hanno avuto grande seguito gli incontri con Gianrico Carofiglio e Giulia Caminito.
In Argentina, malgrado i molteplici legami culturali con l’Italia dovuti all’immigrazione, non esistono case editrici specializzate nella traduzione di scrittori italiani. Tanto che la maggior parte dei libri che circolano nel Paese sono, in realtà, traduzioni nello spagnolo iberico, quello che si parla in Spagna, o tutt’al più al neutro: una variante «artificiale» pensata per includere sia la Spagna che i Paesi dell’America Latina.
«Per quanto riguarda il castellano rioplatense – la parlata di Argentina e Uruguay – ci si ritrova invece davanti a un vuoto inaspettato» dice Marisa Ciccarelli, italianista dell’Università del Salvador di Buenos Aires, che con i colleghi Valeria De Agostini e Néstor Saporiti, diretti da Nora Sforza, è autrice di una ricerca dal titolo «La letteratura italiana tradotta in Argentina nel XX e XXI secolo». Le ragioni di questa assenza sono molteplici, malgrado gli oltre 150 anni di immigrazione italiana verso il Paese sudamericano. Prima di tutto, incide il fatto che siano le case editrici spagnole a possedere la maggior parte dei diritti. Inoltre, una popolazione di nemmeno 46 milioni di abitanti rende non redditizia la scelta di tradurre in castellano rioplatense, precludendosi il mercato del resto dell’America Latina. Eppure non è sempre stato così.
Collodi e De Amicis rimossi
All’inizio del ’900, Pinocchio di Collodi e Cuore di De Amicis erano presenti nelle biblioteche delle famiglie argentine. Addirittura Cuore, il cui autore aveva visitato l’Argentina per conoscere le condizioni di vita dei nostri connazionali, faceva parte della bibliografia obbligatoria nelle scuole primarie. «I figli delle famiglie immigrate dall’Italia, che venivano subito iscritti obbligatoriamente a scuola, trovavano nel libro un specchio delle loro case», spiega Ciccarelli. «Fino a che non si iniziò a sospettare che quelle letture fossero “contaminanti” per la neonata cultura identitaria argentina». E così vennero abolite.
Nei programmi e nelle antologie della scuola secondaria attuale troviamo un panorama ridotto all’osso, privo di organicità, fatta eccezione per le scuole paritarie italiane dove si studia lo stesso programma dei licei italiani. «Ci sono alcuni riferimenti a Calvino, Pirandello, Eco e Dante – ci spiega Néstor Saporiti – ma la riforma della scuola del 1993, che lascia ampio margine d’azione al singolo docente rispetto alla scelta delle letture, disegna una situazione a macchia di leopardo».
Oltretutto l’italiano è stato inserito solo nel 1917 tra le lingue straniere insegnate a scuola, dal momento che si è sempre preferito l’inglese. Oggi assistiamo a una corsa all’apprendimento dell’italiano, legata soprattutto ai requisiti per ottenere la cittadinanza e al desiderio di emigrare. Anche in questo caso, non è sempre stato così. Anzi. La sua popolarità ha avuto alti e bassi. All’inizio del ’900, gli italiani erano gli «indesiderabili», accettati solo come manodopera a basso costo. Ora stiamo assistendo al fenomeno contrario: una idealizzazione acritica di qualsiasi espressione del made in Italy. «Questi alti e bassi – sottolinea Saporiti – spiegano la scarsa motivazione a inserire in pianta stabile gli autori italiani nei piani di studio».
Petrarca e Manzoni dimenticati
Le cose non vanno meglio nelle facoltà umanistiche. «Sono presenti Dante e Boccaccio, ma non si studia Petrarca», ricorda Valeria De Agostini. «Appare inspiegabile l’assenza di Manzoni, soprattutto se si considera il suo ruolo nella creazione di un’unità linguistica italiana in coincidenza con il Risorgimento». Autori presenti nei piani di studio universitari sono Machiavelli, Leopardi, Beccaria, Goldoni o Pirandello. Nel panorama del ’900, Marinetti, Moravia, Bassani, Ginzburg, Calvino ed Eco. In questi ultimi anni abbiamo assistito a un revival della popolarità di Dante, perfino fuori dai circuiti accademici, grazie anche all’istituzione della Giornata del «Dantedì», il 25 marzo di ogni anno (si ritiene che quel giorno sia iniziato il viaggio narrato del sommo poeta nella Divina Commedia).
Nell’ottobre scorso, l’Università Cattolica di Salta ha organizzato un seminario internazionale, seguitissimo anche da studenti della secondaria e da un pubblico generalista. «Mi sono innamorato di Dante da bambino grazie a mio padre e al mio nonno lombardo», confessa l’ex rettore Patricio Colombo Murua, organizzatore dell’evento. «Il messaggio di Dante va oltre il tempo. Ognuno trova in lui un punto di riferimento». Ai ragazzi delle scuole, per esempio, piace molto l’Inferno, per le sue passioni, i toni e i colori forti, i personaggi favolosi. «L’obiettivo è portarli ad apprezzare anche i toni pastello del Purgatorio: il luogo dove inizia ad apparire la speranza. Per arrivare alla ricerca della perfezione formale e spirituale del Paradiso». Infine, in Dante, è fortissimo il tema delle radici e dell’esilio. Per questo parla anche alla comunità immigrata, indipendentemente dal livello di scolarizzazione.