Lo stesso luogo in pace e in guerra. La città in pace, la città in guerra. La campagna in pace, la campagna in guerra. La pioggia in pace, la pioggia in guerra. L’ombrello. I soldati non hanno mai l’ombrello. Avere l’ombrello significa dunque essere in pace? Poesia scritta e visiva si fondono nell’ultimo libro di Valerio Magrelli – poeta, scrittore, francesista e critico letterario italiano –, illustrato dal pittore e disegnatore Alessandro Sanna. La guerra, la pace è un libro in versi per bambini, edito da Rizzoli e presentato al Salone del Libro di Torino, vincitore del Premio Cappello.
Valerio Magrelli e il tema dell’infanzia
“Quando Sanna mi ha telefonato per chiedermi se volessi scrivere un libro per bambini mi resi conto di aver aspettato quella telefonata per cinquant’anni”, racconta Magrelli. E non è la prima volta che lo scrittore affronta il tema dell’infanzia. In prosa e in poesia, anche attraverso i suoi scritti autobiografici, ha dato voce al bambino, all’adolescente, all’adulto, al sé figlio e al sé padre.
Anche in Exfanzia, sua opera più matura, l’infanzia resta presente sotto forma di specchio. Ed è così quando parla de “le case che uno lascia”, che diventano “vuote voragini nude”, simulacri disadorni che “guardiamo come si guarda un genitore nudo”. E bisogna correre via, girarsi di spalle e “non farsi mai guardare da una casa che abbiamo denudato”. Ma poi con l’età adulta inizia “il grande mimetismo”. Il sistema si inceppa e mostra segni di cedimento. È “questione di idraulica” e si comincia “a perdere acqua”.
La figura paterna in Geologia di un padre
Dall’immagine classica di Saturno che divora i suoi figli, quella che ritroviamo in una delle quattordici Pitture Nere di Goya, o nel dipinto di Rubens (entrambe le opere si trovano al Museo del Prado di Madrid), è partito Valerio Magrelli quando, in Disturbi del sistema binario, scriveva: “È immagine di poesia, la figura paterna che si nutre di me, la tenia che divora da dentro la mia vita”. Oppure quando, anni dopo, in Geologia di un padre, scriveva: “Non mi girai, e rimasi a specchiarmi nel mio specchio genetico, in quel corpo da cui provenivo: la cosa più simile a me che avessi mai incontrato. Pre-me, para-me, meta-me, padre e baccello”.
Geologia di un padre è un romanzo che Magrelli ha scritto per tutta la vita. Per anni ha raccolto appunti su suo padre. Un insieme di bigliettini che solo dopo la morte del genitore hanno preso forma, diventando “il bandolo canoro di un’infinita matassa di storie”.
Il titolo iniziale del libro era L’uomo di Pofi. L’autore giocava con una serie di riferimenti alla paleontologia. “Ma non piaceva a nessuno, né ai familiari, né all’editore. Così ho scelto Geologia di un padre. Ma quel titolo, L’uomo di Pofi, non poteva essere buttato. Decisi così di usarlo per l’introduzione”, spiega. “Poi mi sono chiesto chi avrebbe dovuto firmare quell’introduzione. La risposta era semplice: mio padre, che era morto cinque anni prima e non aveva mai scritto una riga in vita sua, ma era un grande disegnatore. Così ho scelto di fare un’introduzione grafica con i suoi disegni, partendo da una rappresentazione di Polifemo che mangia suo figlio, copertina del libro”.
Il Novecento parricida
Ma muovendosi nella profondità dell’archetipo, l’autore descrive la figura del padre come declassata. Il padre, nell’evoluzione che ha avuto dal Novecento, il secolo parricida in cui tramonta l’idea di paternità che risale al Vecchio Testamento, a oggi, è un sovrano che ha perso il suo trono. L’autore lo spiega bene parlando del compleanno di suo padre: il 21 gennaio del 1921. Una data “curiosa sotto diversi aspetti”. Si tratta del giorno in cui fu fondato il Partito Comunista Italiano. Ma non solo, rinvia anche al 21 gennaio 1793, quando fu decapitato Luigi XVI. “Come lui stesso teneva a ricordare, il suo genetliaco coincideva sia con un regicidio, sia con la nascita del partito che, nell’Italia del primo dopoguerra, rappresentava agli occhi della piccola borghesia una forza oscura, insurrezionale, sovversiva. Insomma, sin da piccolo, non afferrai mai bene se ogni 21 gennaio dovessi celebrare papà o la sua caduta”, si legge nel romanzo.
“Provo orrore quando vedo un uomo a capotavola. È qualcosa di tribale. Per me il Novecento è stato il secolo della parificazione, dell’uomo che lava i piatti e cambia i pannolini e del bambino che diventa persona. La paternità della generazione di mio padre seguiva quel prototipo. Mi riferisco a un senso violentemente patriarcale”, dice. “E lui, pur essendo stato a suo modo affettuoso, era devastato da tutti i difetti che avevano i padri della sua generazione. Mi interessava sottolineare che la mia generazione ha un altro atteggiamento nei confronti dei figli”.
La tela del tempo
Il tema del rapporto padre figlio era già stato trattato dall’autore in Addio al calcio, pubblicato tre anni prima di Geologia di un padre. Il calcio qui diventa un fattore identitario, che si trasmette di generazione in generazione. “Quale calcio ha insegnato a me mio padre? Quale calcio ho insegnato io a mio figlio?”. Ma il tema ritorna, in altri termini, in Exfanzia, con la poesia che parte dalla foto del figlio che sfreccia sugli sci. Ma “la pista sta finendo” e l’autore si sente sempre più lontano dal figlio: “La tela del tempo è lacerata dai suoi sci”.